giovedì 6 ottobre 2011

MILANO, ASSEMBLEA PSI sabato 1 ottobre in via Sansovino 9 nella sala del Consiglio di zona 3

Intervento di Teresa Palese(foto) alla Riunione dei socialisti milanesi

Nella crisi finanziaria internazionale, che si riflette in modo preoccupante sull’economia reale, sull’occupazione, sui redditi e sui consumi, l’Italia paga un prezzo più alto, in virtù dei suoi problemi “storici” che il governo attuale ha notevolmente aggravato.

L’intervento della Banca Centrale Europea, a sostegno dei titoli di stato italiani, ha scongiurato esiti ancor più gravi che tuttavia potrebbero verificarsi nel caso in cui il “nostro” debito pubblico andasse fuori controllo, con tassi d’interesse alla lunga insostenibili.
Questa consapevolezza induce a raccogliere l’accorato invito/appello del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ad un esame di coscienza individuale e collettivo, affinché, attorno al sentimento di unità nazionale e dinanzi ai pericoli incombenti che si presentano, possa cementarsi una volontà condivisa che ci porti verso un risanamento finanziario e una crescita economica di cui l’Italia ha urgente bisogno.
Non è compito nostro indicare vie d’uscita immediatamente praticabili sul piano politico - elezioni anticipate, governo tecnico, governo di unità nazionale, governo di emergenza - ma non c’è dubbio che il sindacato non può limitarsi a protestare ma deve rapportarsi costruttivamente con la gravità e l’urgenza dei problemi.

Tale presupposto è finalizzato alla necessità di agire senza ulteriore perdita di tempo sulle cause che hanno generato e continuano ad incrementare il debito pubblico, che a sua volta deprime l’economia e ostruisce la via allo sviluppo compromettendo il futuro del paese.
Un circolo vizioso dal quale è urgente uscire. I problemi sono finanziari ed economici, e sono diventati sociali poichè sono le fasce più deboli della popolazione a pagarne il prezzo più alto: ora le risposte devono essere politiche.
Il “come” uscirne costituisce il cuore del problema dal momento che all’Italia serve una progettualità di medio- lungo periodo che la politica attuale è incapace di elaborare e portare a termine.
E’ necessaria quindi un’assunzione di responsabilità da parte di tutti per affrontare e risolvere i problemi che abbiamo di fronte rispetto ai quali servono misure urgenti ed equilibrate.
L’abbattimento del debito comporta sacrifici e scelte conseguenti.
Se questo è un passaggio ineludibile, il sindacato deve fare proposte in grado di legare le scelte immediate a benefici futuri e la politica deve portarle avanti nelle sedi appropriate.
In tale orizzonte i provvedimenti devono essere proporzionati al reddito e al patrimonio dei cittadini, al bisogno di sostegno delle persone con gravi difficoltà, alla salvaguardia della scuola pubblica, della ricerca e della formazione, al riequilibrio dello stato sociale.
Per serietà e consapevolezza dobbiamo dire che il bubbone del debito non si risolve con una singola misura ridondante (vedi patrimoniale), applicabile a poche persone, bensì con una articolata serie di provvedimenti proporzionati al reddito e al patrimonio, realisticamente adeguata al contesto italiano. Quantità, equità, programmazione pluriennale funzionale all’abbattimento del debito e contestuale sostegno all’occupazione e ai consumi sociali, mediante l’utilizzo della leva fiscale, devono costituire un insieme coerente in grado di far rinascere la fiducia.

La nostra responsabilità si deve esercitare sia nel chiedere con determinazione di tagliare sprechi e privilegi immotivati, sia nel dichiarare la disponibilità a considerare alcune scelte difficili da digerire ma utili al rilancio dello sviluppo e dell’occupazione. Noi siamo convinti che un nuovo patto sociale sia indispensabile e, allo stesso tempo, che il governo in carica non sia nelle condizioni di poterne essere motore propositivo e affidabile esecutore. Il nostro governo ha già tradito le richieste e le aspettative, soprattutto in campo fiscale, anche delle organizzazioni sindacali, tra cui la UIL, che avevano accettato di confrontarsi apertamente, senza pregiudiziali.
A tale scopo si ritiene che:
FISCO
La vera riforma fiscale, nel nostro paese, consiste nel portare a compimento una organica lotta all’evasione in grado di far pagare a tutti le imposte stabilite dalla legge, affinché incidano meno sul lavoro e sui fattori di sviluppo, sui redditi medio bassi, alla condizione che siano reali come quelle dei dipendenti a tutti i livelli e dei pensionati.
Ciò è possibile utilizzando al meglio i mezzi che la tecnologia informatica mette a disposizione, la tracciabilità dei pagamenti, una campagna civile e culturale adeguata. Quella dell’ ”evasore parassita sociale” rappresenta un fatto positivo da portare a coerenza sistematica.
La piaga dell’evasione fiscale non è solo un problema di giustizia e di equità nei confronti di tutti i cittadini. Essa rappresenta un disvalore civile e culturale, economico e penale, dal momento che inquina la regolarità del mercato, favorisce la corruzione, genera lavoro nero, irregolare e “insicuro”, incoraggia le gare di appalto al “massimo ribasso” che alimentano il circolo vizioso.
La riforma (?) fiscale che ha in programma il governo contiene una “clausola di salvaguardia” in virtù della quale, se non realizza una maggiore entrata di 20 miliardi di euro, i tagli lineari alle deduzioni e alle detrazioni scattano automaticamente. Una minaccia che rischia di colpire ulteriormente i redditi medio/ bassi.
Non è questa la riforma e la filosofia fiscale di cui ha bisogno il paese per ripartire avendo a riferimento la sostenibilità e la coesione sociale.
Dall’ultima (per il momento) manovra di circa 55 miliardi, emerge ancora una volta l’incapacità di chiedere ai cittadini una partecipazione proporzionale al patrimonio e al reddito, dalla quale discende la connotazione iniqua, confusa e senza prospettiva di sviluppo delle misure adottate, che in modi diversi colpiscono e impoveriscono milioni di famiglie e di persone, bambini e anziani, , donne che per prime col taglio dei servizi e/o l’aumento delle tariffe faranno più fatica a conciliare lavoro e famiglia, quindi più esposte all’espulsione dal mercato del lavoro: tutti soggetti ai quali viene a mancare il sostegno pubblico di cui hanno bisogno.
Tra le misure odiose presenti nella manovra c’è la tassa del 2% sulle rimesse che gli immigrati riescono faticosamente a inviare alle famiglie che spesso non vedono da anni. La nostra protesta è chiara e inequivocabile nei confronti di un governo che continua a sentire il bisogno di angustiare i più deboli e pertanto va eliminata.
I sacrifici inevitabili saranno accettabili solo se equamente distribuiti e tali da costituire un investimento a sostegno dell’occupazione e della previdenza dei giovani che secondo le proiezioni statistiche, se non si provvede in tempo, sono predestinati a diventare pensionati poveri.
Relativamente alle inefficienze e agli sprechi della politica riteniamo utile partecipare costruttivamente affinché vi sia una razionalizzazione dei costi relativi al funzionamento delle istituzioni centrali regionali e comunali con l’eventuale abolizione delle province, alla quale dovrà corrispondere la nascita delle città metropolitane tra le quali Milano. Allo stesso modo riteniamo negativo assecondare campagne indistinte contro la politica che rischiano di sfuggire di mano e di ottenere l’effetto contrario.
PENSIONI
È un capitolo difficile che dobbiamo saper affrontare e contribuire a risolvere. In che cosa consiste il problema?
Se è pur vero, da una parte, che la riforma previdenziale è già stata fatta ed ha messo in sicurezza la sostenibilità del sistema è vero anche, dall’altra, che alcune misure mirate rafforzerebbero lo stato sociale nel suo complesso e l’equità che dal nostro punto di vista lo deve caratterizzare. I giovani che andranno in pensione dal 2030 in avanti hanno bisogno che alcune misure si assumano adesso e con urgenza. Riequilibrio della spesa sociale significa anche questo.
In tale contesto l’età pensionabile può essere progressivamente innalzata senza creare traumi e allarmismi, in relazione all’aumento dell’età media della vita, alla sostenibilità finanziaria del sistema, al riequilibrio complessivo della spesa sociale.
Approvata definitivamente la legge sul lavoro usurante e salvaguardati quindi i lavoratori più svantaggiati, “quota 100” sarebbe una misura comprensibile, ancorché non sufficiente, rispetto ai problemi che il paese si trova a fronteggiare. Quota 100 significa che nessuno potrà andare in pensione prima di 60 anni di età. Sulla base di questo riferimento minimo si deve arrivare a definire un criterio condiviso fondato sulla durata della vita e sull’equilibrio medio tra anni di lavoro e anni di godimento della pensione, tale da rendere ininfluente l’alternanza al governo degli opposti schieramenti politici. Anche questa è un tipo d’unità (nazionale) di cui il paese ha bisogno e di cui non bisogna vergognarsi, anzi.

I risparmi che si ottengono, però, devono andare ai giovani, alle future generazioni, alla ricomposizione del mercato del lavoro e del sistema previdenziale che passa anche attraverso l’unificazione dei contributi per qualsiasi tipologia contrattuale. L’Italia è rimasta, insieme alla Grecia, uno dei pochi paesi europei che non riconosce un salario minimo di cittadinanza. Il reddito minimo garantito, unito a politiche attive per il lavoro efficienti, consentirebbe di gestire più serenamente la continua flessibilità richiesta dal nostro mercato del lavoro e permetterebbe, ai giovani soprattutto, di emanciparsi più rapidamente diventando protagonisti delle proprie scelte e sottraendosi ai ricatti che ogni giorno sono costretti a subire.
Per quanto riguarda le donne, occorre sostenere che la parità di genere, soprattutto in campo previdenziale, si persegue attraverso il riconoscimento del maggior peso che ancora oggi le donne si accollano nella cura dei figli e della famiglia. La società, se non prevale il cinismo e un’idea banale della parità, deve riconoscere questo dato di realtà. Riconoscimento che può concretizzarsi anche attraverso l’abbuono di periodi di contribuzione figurativa, unitamente alla facoltà di andare in pensione un po’ prima o un po’ dopo rispetto al criterio stabilito per gli uomini, in relazione al numero dei figli.
Parlando di Milano viene in mente la speranza di ridargli l'immagine di città aperta che merita, coincidente con l'elezione a Sindaco di Giuliano Pisapia. Il suo mandato, per altro, coincide anche con l'itinerario di Expo 2015, che, lo vogliamo ricordare, ha come tema “Nutrire il Pianeta, Energie per la Vita”. Un tema che evoca lo sviluppo sostenibile a tutti i livelli, una città aperta, coesa e pulita, un paese proiettato verso il futuro in grado di suscitare nuovamente speranza. Un mondo dove la parola fame, abbinata a morte, malattie e sofferenze di milioni di persone, gran parte delle quali bambini, dovrebbe sparire definitivamente dal nostro lessico ordinario. Un simile obiettivo ha bisogno di unità istituzionale, come Pisapia, Formigoni, Errani ed altri sindaci e presidenti di regione hanno saputo dimostrare nei confronti dei “tagli lineari del governo” e di cui c'è ancora bisogno per ottenere che gli investimenti per Expo non rientrino nei vincoli del “patto di stabilità interno”.
Da ultimo non possiamo non esprimere apprezzamento per quanto dichiarato dal Sindaco Pisapia a proposito della lotta al lavoro nero nei cantieri che si apriranno per Expo 2015 e nella volontà di assegnare gli appalti secondo il criterio dell' ”offerta economicamente più vantaggiosa”, in luogo di quella “al massimo ribasso”.
In conclusione, salvare l’Italia non è un richiamo retorico. È una necessità urgente pari al pericolo di consegnare ai giovani e alle future generazioni un paese più povero, meno libero e democratico, ancor peggio di come è stato ridotto negli ultimi lustri.
Tutti dobbiamo sentire e “vedere” il pericolo incombente e comportarci di conseguenza per contribuire a far rinascere il Paese in una Europa unita, libera e democratica.
Oggi, più che mai, nella consapevolezza che nulla sarà più come prima, tutto è da ricostruire in uno scenario politico sconfortante dove occorrono nuove proposte e nuove regole, ebbene oggi c’è bisogno di più socialismo. Oggi tocca a noi rilanciare idee e proposte e trovare nuovi spazi dove portale Avanti!

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